sabato 9 dicembre 2017

NINO ROCCA al Consultorio dei diritti MIF

Quarto appuntamento con il ciclo di videointerviste "Storie di persone, storie di diritti, storie che hanno fatto la storia", in cui alcune personalità, che nella città di Palermo, si sono distinte per aver sostenuto e portato avanti i diritti dei più deboli, si raccontano davanti alle telecamere del Consultorio dei diritti MIF.

Una chiaccherata informale e accogliente dove poter conoscere in maniera più approfondita la persona intervistata, conoscendo aspetti del proprio percorso di vita che, nei contesti pubblici di tutti giorni difficilmente vengono fuori.

Oggi i volontari del Consultorio dei diritti MIF sono andati a trovare NINO ROCCA, attivista palermitano impegnato da anni nelle lotte in difesa delle donne vittime della tratta.

Lo scorso 14 ottobre 2017, al termine di un evento pubblico, organizzato dall'Associazione "Le Donne di Benin City" in occasione della giornata europea contro la tratta, Nino ci racconta i suoi anni di impegno a Palermo in difesa delle giovani donne vittime dello sfruttamento e della prostituzione.


domenica 26 novembre 2017

LINO D'ANDREA al Consultorio dei diritti MIF

Terzo appuntamento con il ciclo di videointerviste "Storie di persone, storie di diritti, storie che hanno fatto la storia", in cui alcune personalità, che nella città di Palermo, si sono distinte per aver sostenuto e portato avanti i diritti dei più deboli, si raccontano davanti alle telecamere del Consultorio dei diritti MIF.

Una chiaccherata informale e accogliente dove poter conoscere in maniera più approfondita la persona intervistata, conoscendo aspetti del proprio percorso di vita che, nei contesti pubblici di tutti giorni difficilmente vengono fuori.

Oggi i volontari del Consultorio dei diritti MIF sono andati a trovare l'attuale Garante dei diritti dell'Infanzia e dell'adolescenza del Comune di Palermo, Lino D'Andrea.

In un assetto informale Lino racconta la sua storia, che inizia a Napoli, in una famiglia modesta, che passa per diverse esperienze lavorative e sociali che lo porteranno, a Palermo, a fondare, con un gruppo di colleghi della allora ITALCABLE, un dopolavoro "alternativo" impegnato in attività di teatro di strada nei quartieri periferici della Palermo anni '80.

Nel 1990 nasce Arciragazzi a Palermo per la promozione e la tutela dei diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza, l'impegno di Lino D'Andrea e di altre persone porta, nel 1991 alla legge 176 che di fatto rende operativa la Carta dei diritti dell'Infanzia e dell'adolescenza, ratificata dall'ONU due anni prima a NEW YORK. 

Da qui una storia di impegno civile e di volontariato che lo porta, nel 2013 ad essere nominato GARANTE DEI DIRITTI DELL'INFANZIA E DELL'ADOLESCENZA NEL COMUNE DI PALERMO, carica che ricopre tutt'ora.
Un'intervista, a cura di Carmelina Vaccaro, molto intensa, dove si parla di politica, di impegno e di volontariato, BUONA VISIONE.


Una Siciliana in Colombia: un viaggio alla scoperta di un popolo che sta rinascendo. Sesta puntata Voci di speranza da San Jacinto

Piatto con ñame
Sesta puntata (per le puntate precedenti clicca qui) del reportage della nostra volontaria LORY STRANO che sta raccontando la sua esperienza di siciliana in Colombia, un paese che sta vivendo un periodo di forti cambiamenti sociali ed economici a seguito dell'accordo firmato Il 24 novembre 2016 fra il governo colombiano e i guerriglieri delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc), una formazione di stampo marxista attiva da più di cinquant’anni che ha messo fine, grazie anche alla determinazione del presidente Colombiano Juan Manuel Santos, ad un lunghissimo conflitto armato che ha provocato quasi 220 mila morti, migliaia di desaparecidos e  sfollati per un totale di otto milioni di vittime. 

Non ricordavo più che giorno fosse persa tra una colazione con formaggio e ñame, un risveglio con il canto degli uccellini, un percorso per comprare l’acqua, bene rarissimo qui en Los Montes.

Adesso nell’aria mite di un autunno generoso, cerco di tirare fuori le emozioni ammucchiate e stropicciate che si parlano a suon di salsa sfrenata e di un vallenato malinconico. Un fuoco brucia dentro, tensione di vita, la mia e quella degli altri. Di quelle anime che abitano Los Montes de Maria, dei vivi e dei morti.

Alcune persone me le porto dentro. Nel trambusto dei ritorni, quelli amari che ti aspettano sempre dopo un viaggio, alcune scene si ripetono in testa come fotogrammi indelebili. Siamo a San Jacinto, io e J, studente di scienze politiche, prendiamo il caffe seduti in un piccolo bar sulla piazza spoglia, è sera e tutto è apparentemente molto tranquillo. Mentre conversiamo noto che J. Mi chiede in continuazione di ripetere e così mi accorgo che non può sentirmi bene. Mi dice che ha fatto parte dell’esercito e che il suono degli spari gli ha ridotto notevolmente l’udito. Ha passato molti anni scontrandosi con guerrilleros e il ricordo che gli resta più di tutti è quello di due occhi. “Questi due occhi che un giorno incrociai, mi racconta, erano uguali ai miei, non c’era differenza tra il nostro essere adolescenti, l’unica era stare dal lato opposto quando impugnavamo le armi”.

Adesso J. Riceve una pensione per il suo udito, con quella cerca di pagarsi gli studi, far crescere bene la sua bambina. Le sue aspirazioni da studente non gli hanno mai fatto dimenticare da dove viene. Montiamo sul motorino e mi accompagna tra le sue terre. Per un tempo ha dovuto lasciare la usa vita nel campo, era troppo pericoloso restare li, potevi essere scambiato per un guerrillero o assistere a omicidi e mettere a repentaglio la vita di tutti. Mentre parliamo osservo un via vai continuo di ragazzini che si trascinano muli stanchi dal sole pieni di bidoni di acqua. C’è un piccolo laghetto di acqua verdina in fondo al campo, come una piccola oasi per questo territorio abbandonato. J. Chiede pochi centesimi per permettere loro di prenderla, altrimenti la disperderebbero.

Strade di San Jacinto
Fa tanto caldo, il sole è altissimo a febbraio, abbiamo tanta sete e beviamo l’acqua piovana che J, raccoglie in una grande cisterna. Poi premuroso mi riaccompagna a casa, la strada è buia e un po’ deserta la sera, parliamo della situazione politica del paesino e della mia esperienza.

Io gli racconto la mia posizione, la difficoltà di essere straniera in una zona in cui la cooperazione ha fatto anche tanti errori di valutazione, spargendo fondi, sprecandoli con progetti inutili, nella mancanza totale di servizi essenziali. Mi sfogo con J., gli confesso che alcune delle persone che ho intervistato hanno un atteggiamento ostile e rassegnato, mi chiedono supporto finanziario, sono diffidenti e non credono nel valore dell’intervista. J. mi racconta della possibilità del cambiamento, mi dice che è importante fare politica nel campo, informare i contadini con il bocca a bocca. Dall’azione politica prendono forza le sue speranze, sogna di insegnare storia del conflitto, lui che l’ha vissuto da contadino, da soldato, da ragazzo, da padre. Quella notte dormo tranquilla, in un letto scomodo, nel silenzio dell’abbandono ma cullata dalla gentilezza di questa gente e dalla forza dei loro sogni.


Panorama Los Montes De Maria

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LORENZA STRANO - Appassionata di giornalismo e viaggi, instancabile volontaria per diverse associazioni e organizzazioni locali e internazionali, Lory Strano si è lanciata dopo la triennale in comunicazione nel mondo della cooperazione internazionale. Nel 2016, anno di conseguimento della laurea magistrale in Cooperazione e Sviluppo, è passata dal lavorare per una Ong ambientalista in Spagna a fare la ricercatrice per una università in Sud America. L’ultima tappa è stata la Colombia,  da dove racconta l’esperienza di una siciliana alle prese col mondo dei diritti umani in un paese lacerato dal conflitto e con tutte le carte in regole per fare la storia con il processo di pace. 

domenica 19 novembre 2017

Gruppi di Parola per figli di genitori separati: Uno spazio per le parole dei bambini

Papà e mamma si separano! E i bambini?

I bambini sono coinvolti nella separazione dei genitori ma, a volte, non sanno esprimere le emozioni che provano; a volte non sanno con chi parlarne.

Il Gruppo di Parola offre, a bambini e ad adolescenti, un tempo e uno spazio per uscire dall’isolamento, mettendo parole possibili su argomenti importanti.

Nel Gruppo di Parola si può creare un ponte fra la famiglia e i bambini.

Nel Gruppo di Parola, strumento breve ma dinamico, si incontrano altri figli di genitori separati con cui è possibile condividere il momento di transizione familiare che si sta attraversando.

E'un'opportunità per i bambini di scambiare esperienze e sostegno in gruppo.

Nel Gruppo di Parola si può parlare del processo della separazione, si possono trovare soluzioni e suggerire strategie, si possono riconoscere ed esprimere le emozioni che si provano.

I Gruppi di Parola sono uno strumento educativo pedagogico, strutturato in un ciclo di 4 incontri per gruppo, con cadenza settimanale e durata di 2 ore ad incontro. I Gruppi, che possono essere rivolti a bambini, preadolescenti e adolescenti, si strutturano per fasce di età a partire dai 6 anni.

Ai Gruppi prendono parte i bambini ma nella seconda ora del quarto incontro mamma e papà saranno invitati a partecipare. I bambini per prendere parte ai Gruppi di Parola hanno bisogno del consenso di entrambi i genitori.

Locandina dell'incontro di presentazione sui "Gruppi di Parola per figli separati"
che si terrà il prossimo 22 novembre dalle 16 alle 17,30 a Palermo
presso la Sede del Garante dell'infanzia del Comune di Palermo
in via Catania 146 all'interno del MESE DEI DIRITTI

Attraverso la parola, il disegno, la scrittura e il gioco, i bambini, che partecipano ai Gruppi di Parola, possono condividere i propri vissuti, esprimere i propri pensieri, osservare i comportamenti altrui, raccogliere informazioni su temi importanti e trovare soluzioni e strategie a problematiche legate alla separazione dei genitori. Il conduttore del Gruppo di Parola deve essere un professionista adeguatamente formato attraverso un percorso qualificato.
I Gruppi di Parola hanno una storia abbastanza recente.


Nati in Canada nel 1992 come "Groupe confidences" ad opera di Lorraine Filion, mediatrice canadese che ideò questo strumento per affrontare i rischi, le ferite, la fatica presenti nella vita pratica e nell'esperienza emotiva dei figli di separati, si sono diffusi in Italia a partire dal 2000.

Si tratta di un'esperienza in cui il minore può elaborare la sua rappresentazione verbale della separazione, può dar voce ai suoi pensieri e trovare, con l'aiuto del gruppo di pari e con la guida protettiva del conduttore, strategie possibili per affrontare le situazioni legate alla transizione familiare.

Accanto alla mediazione, rivolta in alla coppia genitoriale, i Gruppi di Parola diventano, quindi, una risorsa , una possibilità per accompagnare i figli in un momento di trasformazione dei legami familiari. Gruppi di Parola e Mediazione familiare sono due interventi cui si può ricorrere a scopo protettivo e preventivo affinché un evento critico come la separazione, non diventi un dramma.

“Iscrivere vostro figlio ad un Gruppo di Parola è un'opportunità per vivere meglio le trasformazioni familiari che state attraversando." Marie Simon*.

A seguire un video a realizzato dalla Provincia di Torino per informare e sensibilizzare sui Gruppi di Parola e su altri percorsi utili a genitori e figli nel momento della separazione. Buona visione!




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ALESSANDRA PATTI - Counselor Relazionale Professionale (dal 2003) ed a Mediazione Corporea (dal 2016), Sociologo clinico. E’ Segretario Nazionale di ANCoRe (Associazione Nazionale Counselor Relazionali) cui è anche iscritta dal 2004 con il n.49. Inoltre è Vicepresidente di E.Co. Esperienza Counseling Onlus, Associazione che a Palermo promuove e opera attraverso il Counseling quale attività di facilitazione delle dinamiche comunicativo relazionali interpersonali, e di sviluppo dell’individuo. Dal 2015 ha conseguito il titolo di Conduttrice di Gruppi di Parola per figli di genitori separati a seguito di una formazione di durata annuale effettuata con Marie Simon. Dal 2016 è Conduttrice di classi di esercizi in Bioenergetica, formata e iscritta presso Società Italiana di Analisi Bioenergetica (Siab) di Roma.


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IVANA PANZARELLA - Avvocato, Mediatore Familiare e Conduttrice di Gruppi di Parola per figli di genitori separati a seguito di una formazione di durata annuale effettuata con Marie Simon (Dottore di ricerca in Psicologia clinica e Psicopatologia. Formatrice di conduttori di Gruppi di Parola

venerdì 17 novembre 2017

Riparte la Carovana dei Diritti

Martedì 21 novembre 2017, in occasione della Settimana dei diritti, nella quale ricade il 28° anniversario della ratifica della Carta dei diritti dell'Infanzia e dell'adolescenza (New York 20 novembre 1989) verrà presentata, nella splendida cornice della Galleria d'Arte Moderna, Palermo, via Sant'Anna 21, ore 15,00 la seconda edizione de "LA CAROVANA DEI DIRITTI" un percorso formativo e informativo, che coinvolgerà volontariato, associazioni, scuole e istituzioni in un confronto attivo sui temi dell'infanzia e dell'adolescenza che si realizzerà, nei prossimi mesi, nelle 8 circoscrizioni di Palermo.

Anche il Consultorio dei diritti MIF aderisce all'iniziativa, come nel maggio scorso, portando a tutti i ragazzi l'esperienza e l'opportunità del consultorio sopratutto in un'ottica di prevenzione per tutte le problematiche legate a situazioni di bullismo e violenza domestica.


Nella giornata del 21 verranno presentati i risultati della prima edizione della CAROVANA DEI DIRITTI, a cura delle psicologhe che hanno curato il report, Daniela Baccarella e Ivana Caruso e verrà dato spazio agli interventi dei presidenti delle Circoscrizioni di Palermo e dei dirigenti scolastici delle scuole coinvolte.
All'incontro parteciperanno, oltre al Garante dell'Infanzia e dell'Adolescenza del Comune di Palermo Lino D'Andrea, la Presidente del CeSVoP Giuditta Petrillo, il Portavoce del Forum Terzo Settore Sicilia Pippo di Natale, l'Assessore alle Politiche Sociali del Comune di Palermo Giuseppe Mattina e il Sindaco di Palermo Leoluca Orlando.

Per il programma completo clicca qui

Per tutto il mese di Novembre, in occasione del 28° anniversario della ratifica della carta dei diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza, sono tante le iniziative promosse dalle associazioni a Palermo, per l'elenco completo clicca qui



mercoledì 15 novembre 2017

O ti amo o ti ammazzo: quando le carezze nascondo pugni

Il titolo di questo articolo non può non ricordare una famosa canzone d’amore di Adriano Celentano, celebre cantautore italiano.

La chiave di lettura di questa canzone è riscontrabile nella metafora del pugno chiuso della mano come manifestazione fisica del dissidio dell’animo causato dall'assenza della donna amata.

L’unica consolazione che ne deriva è sapere di essere contraccambiato nel pensiero dell’amata, la quale riesce non solo ad appagare, ma altresì convertire di segno, il dolore dell’innamorato, al punto tale da trasformare l’irrigidimento e la chiusura della mano in un gesto di tenerezza tipica dell’amore: la carezza.



Alla luce dei recenti fatti di cronaca, queste parole gentili e poetiche sembrano quanto mai anacronistiche e fuori dal tempo. Il pugno chiuso dovuto all’assenza della donna amata si trasforma non più in un gesto nobile, ma in violenza fisica vera e propria: le carezze e i baci lasciano il posto alle percosse tanto verbali quanto fisiche.

Donne abusate, maltrattate, oltraggiate, dagli uomini che avrebbero dovuto amarle, che avrebbero dovuto proteggerle. Le mani degli uomini violenti lasciano ferite, lasciano lividi,così nel corpo che nell’anima.

La mancanza e la nostalgia di cui Celentano si fece interprete nel 1968, viene svilita dalla follia violenta dell’uomo, il quale spesso, troppo spesso, non riesce a gestire l’abbandono, il libero arbitrio della propria compagna.

Basta avvicinarsi a qualsiasi organo di informazione per sentire frasi ricorrenti quali: << l’ho uccisa perché la amavo troppo>> o ancora << non riuscivo a vivere senza di lei>>.

La ripetitività assillante di queste storie di violenza, sembra essere entrata nella quotidianità al punto tale da non causare più scalpore; ma non ci si può, non ci si deve abituare, a frasi simili in una società degna di essere definita civile.


La modernità e il progresso sociale ed economico ha, tuttavia, permesso il degradamento e la corrosione della figura della donna angelo, tutta trecentesca, che soleva guardare alla donna come portatrice di beatitudine, preferendole, invece, una figura nemica, portatrice di dolore e dissidio, che merita per questo ‘’punizioni’’ con percosse o, nei casi più gravi, con la morte, al pari di un oggetto da abolire quando ha terminato la sua funzione di appagamento.

La concezione dantesca della donna secondo cui <<par che sia una cosa venuta//da cielo in terra a miracol mostrare>>, lungi dall’essere uno dei versi poetici più carichi di significato simbolico, oggi viene quasi decontestualizzato e denaturato del suo significato di unicità e purezza: non solo sembra non rispecchiare più la donna come unico mezzo celestiale di ingentilimento del cuore dell’uomo, la sola in grado di predisporlo alla virtù e di elevarlo a Dio, ma rischia, altresì, di apparire come un reperto archeologico, come qualcosa non più attuabile, arroccato fuori dal tempo e dallo spazio.

Ma davvero al giorno d’oggi la concezione dell’amore cortese non è più attuabile?

Davvero la figura della donna non può non essere separata dalla sessualità e dall’aspetto carnale? Non è dunque possibile scindere il sesso femminile dall’erotismo, come se l’una fosse una concausa dell’altra? Eppure nei laboratori scientifici l’uomo è riuscito a scindere gli atomi nelle sue molecole costituenti, qualcosa di impensabile fino a qualche secolo fa; eppure liberare la figura della donna dalla sua capacità riproduttiva e di possesso sembra un’operazione quanto mai complessa, lontana e di difficile attuabilità.

La donna, la sfera del femminile, nasconde tanto altro,un microcosmo tutto da scoprire che rischia di essere continuamente oltraggiato, offeso e abusato.

La digressione sullo stilnovismo non vuole essere un mero tentativo romantico e mieloso di guardare al passato con nostalgia, ma vuol essere un focus, attraverso questa forte antitesi tra passato e presente, che permetta con facilità esplicativa, di portare alla luce una situazione quantomai attuale e urgente: la violenza sulle donne.


In molti, troppi casi, questi raptus violenti sfociano nell’omicidio della donna e spesso nel suicidio dello stesso assassino; quando questo non avviene e il presunto colpevole viene arrestato, si scopre che alla base della follia omicida vi sia il <<troppo amore>>, la <<gelosia>> o l’infondata <<paura di perderla>>.

Queste frasi sono ricorrenti alla stregua di una pièce teatrale, che ha spesso un finale macabro e interpreti sempre diversi, per età e provenienza sociale ecc.

Questa spirale di terrore deve essere interrotta e merita giusta attenzione degli organi competenti e dell’opinione pubblica, non possiamo assopire le nostre coscienze permettendo a ciò che è aberrante, di diventare normalità.

Sarebbe necessario,oltre a formulare considerazioni su questi orribili fatti di violenza, individuare il punto di partenza e i fattori scatenanti della follia omicida, per poterlo prevenire e intervenire prima che sia troppo tardi.

Il genere maschile e femminile sono da sempre contrapposti, l’uno l’antitesi dell’altra, in un chiasmo primordiale che prende le origini dalla diversità oggettiva di sesso e configurandosi come essere inferiore,o nei casi più estremi, privo di valore.

Ma non è sempre stato così: agli albori delle civiltà preurbanizzate, (oriente, Mesopotamia) organizzate secondo i primi modelli sociali in fase embrionale, la figura del femmineo era degna di venerazione perché assimilabile alla figura della dea Madre; l’immagine della donna era sovrapposta a quelli della fertilità e quindi degno di venerazione, configurandosi nelle svariate forme artistiche, murali e scultoree, con curve generose e ventre pronunciato, in quanto simbolo del principio creatore del mondo.

Nel corso dei secoli, con l’inesorabile mutamento dei modelli sociali, si è abbandonata la figura del logos femminile a favore di una più spietata realtà tutta maschilista e patriarcale, che tendeva a rilegare il ruolo della donna alla cura della prole e al focolare domestico con conseguente esclusione in ambito politico, religioso e sociale.

ph Dorotea Zanca

Questa spirale di ingiuste legate a filo doppio con la violenza, attraversa in modo trasversale ogni cultura e ogni continente.

Ponendo l’attenzione ai recenti fatti di cronaca nera, si noterà che la violenza subita dal sesso femminile, presenta molto spesso dei tratti comuni, i quali si configurano sotto forma di aggressione fisica che spesso vede coesistere anche la violenza sessuale, le persecuzioni, i ricatti e le minacce; quando queste violenze non vengono riconosciute in tempo come pericolo e non vengono denunciate, spesso portano al femminicidio, parola tristemente conosciuta in tutto il mondo, legata alla disparità sociale tra uomo e donna. Questo insieme di atti violenti può essere accumunato, per l’immediatezza esplicativa, alla violenza di genere che accomuna, sotto un’unica categoria una vastità di comportamenti lesivi, che uomini, con piena o parziale coscienza delle proprie facoltà mentali, molto diversi tra loro per nazionalità, livello di scolarizzazione,età, condizione sociale, compiono ai danni delle donne , tanto all’interno del proprio nucleo familiare , (mogli,compagne) quanto all’esterno (ex fidanzate, mogli).

Ancora oggi, molti gruppi sociali e minoranze etniche restano fedeli al principio di subordinazione del sesso femminile e quello maschile, sebbene questo mancato superamento di differenza di genere, precluda loro l’integrazione tra la cultura migrante e quella ospitante.

La massiccia presenza di flussi migratori che continua ad interessare le coste del mediterraneo, fanno emergere numerosi episodi di violenza che presentano il medesimo modus operandi che accomuna i protagonisti in una fitta rete di atti persecutori e intrecciati, dove i protagonisti risultano medesimi in un plotting di storie di terrore ingiustificato: i membri maschili del nucleo familiare commettono di consueto atti violenti, a danno di una delle donne di casa, solitamente la più giovane, solo perché quest’ultima esprimeva il desiderio di emanciparsi dal gruppo sociale di appartenenza per ‘’confondersi’’, mimetizzarsi ed essere così accolta, dal nuovo modello di vita occidentale conosciuto conseguentemente alla migrazione dai paesi di provenienza.

Senza scendere nel dettaglio dell’argomento religioso, è importante sottolineare come le principali componenti di un dato contesto culturale (politica, religione ecc.) incidano sulla vita di ogni singolo individuo, condizionandola, specialmente se donna; la cultura e il rispetto per il femminile, non sempre vanno di pari passo: in molte società ritenute civili, dove lo stato è laicizzato e dove la libera affermazione dell’individuo si impone come principio della società stessa , vi è una sorta di antitetico metro di misura per discernere la condotta dell’uomo da quella della donna. Al sesso maschile sono giustificati, o talvolta apprezzati, una vasta gamma di comportamenti che per una dona, invece, risultano essere assolutamente sconvenienti o vietati. Un esempio di immediata comprensione potrebbe essere fornito dalla doppia morale circa i costumi e le abitudini sessuali di uomini e donne: un uomo che ha più partner oltre quella ufficiale, e che è dunque sessualmente promiscuo, viene reputato un uomo in gamba da cui prendere esempio; a tal proposito: se una donna fosse invece sessualmente promiscua? quale immagine le verrebbe attribuita? La risposta è sicuramente un’etichetta, uno stigma che difficilmente sarà possibile toglierle.

Questo esempio, molto conosciuto dalle famiglie del mezzogiorno, dove il legame e il senso della famiglia è molto forte,può indurci a sorridere, ma il riso cede immediatamente il posto alla preoccupazione davanti alle centinaia di vittime sfregiate dall’acido e dai lividi, o nei peggiori dei casi, uccise e private in modo indelebile della propria indipendenza, della propria libertà.

Dagli anni’50 ad oggi la situazione è sicuramente cambiata dal punto di vista teorico sull’identità e sulla libertà di genere, sul lato pratico bisogna ancora lavorare per abbattere questo muro di ipocrisia che fa la spola tra il giudizio benpensante della buona creanza e l’assoluta libertà di espressione e affermazione femminile.

ph Dorotea Zanca


Il filo che lega cultura e società, porta inevitabilmente ad analizzare cosa era previsto poco più di trenta anni fa, fino al 1981 nel codice penale italiano; nel nostro ordinamento giuridico esisteva la norma di cui all’art 587 c.p. secondo la quale <<chiunque cagiona la morte del coniuge della famiglia o della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale o nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a 7 anni [anziché la pena non inferiore a 21]>>.

Nonostante gli indiscussi progressi in campo giuridico ed etico che dopo i fermenti degli anni ’70 portarono verso una maggiore consapevolezza del diritto e della libertà della donna in quanto persona, molto resta ancora da fare sul piano della violenza di genere.

A questo proposito è opportuno ricordare un episodio che sconvolge e indigna ancora oggi, per la sua ferocia e crudeltà: il rapimento il 9 marzo 1973 a Milano, ai danni di Franca Rame, ad opera di cinque uomini, i quali dopo averla costretta a salire su un camioncino,cominciarono a sottoporla a sevizie e ad ogni tipo di violenza per cinque lunghe ore. Un piano studiato nei minimi dettagli per colpire la compagna di Dario Fo, ch collaborava nelle carceri con soccorso rosso ed era molto attiva nell’ambiente politico. Per quello stupro, maturato negli ambienti di estrema destra, da gruppi neofascisti, non c’è mai stata nessuna condanna, ma a 25 anni dal fatto, solo una prescrizione che fece ricevere la violenza alla povera Franca per ben due volte: la prima nel fisico, la seconda morale, in quanto questo atto vile non conobbe giustizia.


Col passare degli anni, Franca ha dato voce alla condizione di tante, troppe donne vittime di stupro. Nel 1975 ricorre a un’ <<analisi teatrale>>, dove la catarsi dal dolore e la cura dell’animo , non sono da ricercarsi nel lettino di uno psicologo, ma sul palco, per condividere ma soprattutto per esorcizzare, quelle ore di insensata follia criminale. Le sue parole sono nette, fredde, calcolate, libere da ogni filtro, proprio per creare un’empatia diretta tra lo spettatore e il messaggio veicolato dall’opera. Franca non si è arresa all’empatia al dolore, ma ha cercato di dare voce all’orrore che, come lei, molte donne vittime di violenza sono costrette a subire, soprattutto durante il momento della denuncia (<<lei ha goduto?>>,<< ha raggiunto l’orgasmo?>>, <<se si, quante volte?>>), come scrisse la stessa Franca nel suo monologo teatrale, riportando le parole dei medici, avvocati e poliziotti.

Donne abusate, donne violate, mortificate nel corpo e nello spirito, dove rimangono i segni indelebili di una società che pensa più all’apparenza che ala forma, al continuo oscillare dialettico, oserei dire di natura hegeliana, tra l’immagine di libertà ed emancipazione della donna e il soffocante controllo, possesso.

Quando si potrà superare tutto questo?quando una donna sarà libera di decidere liberamente del suo destino e di interrompere il legame malato con il proprio partner che la soffoca, la oltraggia, la picchia?

Le domande su questo delicato argomento di sprecano e rischiano di rimanere senza risposta se non si affronta prontamente la questione, tanto a livello normativo, quanto a livello dell’istruzione e della comunicazione di massa.

Un punto deve essere chiaro ad ogni ambito della vita societaria: l’esistenza della donna è indispensabile, intrecciata a quella dell’uomo, la quale, è legata a quella di quest’ultima e viceversa.

Sebbene dal punto di vista normativo e giuridico ci sia stato un evidente passo n avanti verso la tutela delle donne vittime di violenza, molto deve essere ancora fatto sull’abolizione del modello maschile come dominante.


La violenza di genere,le barbarie che in ogni parte del mondo milioni di donne sono costrette a subire, rischia di diventare un virus che contamina, inquina, i tessuti della società ad ogni livello culturale.

Secondo una ricerca della Harvard University, per le donne tra i 15 e i 44 anni, la violenza è la prima causa di morte o di invalidità: ancor più del cancro, della malaria e perfino della guerra. Le statistiche comunitarie ci dicono, in base ad indagini sui dati inerenti i reati negli stati membri, che in Europa la violenza rappresenta la prima causa di morte delle donne nella fascia di età tra i 16 e i 50 anni e nel nostro paese si ritiene che ogni tre morti violente, una riguarda donne uccise da un marito, un convivente o un fidanzato. In Italia è del 1998 la prima ricerca condotta dall'ISTAT, su mandato del Dipartimento presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri alle Pari Opportunità, sulla violenza sessuale. Gli unici dati quantitativi che raccontano della violenza verso le donne sono quelli dei centri antiviolenza, attivi dal 1980 in molte città italiane, e di alcune indagini e studi, tra cui le ricerche-azione sulla percezione della violenza verso le donne, finanziate dal progetto “Rete antiviolenza tra le città Urban Italia”, con il coordinamento del Dipartimento delle Pari Opportunità, che hanno coinvolto 8 città nella prima fase e 18 nella seconda. Il modello di intervento proposto è quello di coniugare diversi livelli di indagine sulla percezione della violenza verso le donne (donne e uomini, operatori, testimoni privilegiati, donne che hanno subito violenza), con differenti strumenti (quantitativi e qualitativi), e lo sviluppo di un'azione locale di stimolo alla creazione di una rete contro la violenza, iniziando da un ciclo di formazione rivolto a chi opera a contatto con donne o minori. E' nei primi anni '70 che in Europa si strutturano centri antiviolenza e case rifugio, che si costituiscono a partire dall'esperienza del movimento delle donne, divenendo negli anni servizi dalla parte delle donne sempre più specializzati. I Italia i primi centri aprono a partire dagli anni '80. Sono gli anni del dibattito sulla legge contro la violenza sessuale, che coinvolge tutto il movimento femminista e che porteranno alla modifica del testo di legge solo nel 1996. Ed è del 1997 la Direttiva del Presidente del Consiglio, che partendo dalla Piattaforma di Pechino, ha impegnato il Governo e le istituzioni italiane a prevenire e contrastare tutte le forme di violenza fisica, sessuale e psicologica contro le donne, dai maltrattamenti familiari al traffico di donne e minori a scopo di sfruttamento sessuale. E' del 2001 la Legge 154 sull'allontanamento del familiare violento per via civile o penale. Infine, è del 2011 La Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul) è una convenzione del Consiglio d'Europa contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa il 7 aprile 2011 ed aperta alla firma l'11 maggio 2011 a Istambul (Turchia). Il trattato si propone di prevenire la violenza, favorire la protezione delle vittime ed impedire l'impunità dei colpevoli. È stato firmato da 32 paesi e il 12 marzo 2012 la Turchia è diventata il primo paese a ratificare la Convenzione, seguito dai seguenti paesi nel 2015: Albania, Portogallo, Montenegro, Moldavia, Italia, Bosnia-Erzegovina, Austria, Serbia, Andorra, Danimarca, Francia, Finlandia, Spagna, Svezia.

Il 19 giugno 2013, dopo l'approvazione unanime del testo alla Camera, il Senato ha votato il documento con 274 voti favorevoli e un solo astenuto.

I centri e le case rifugio in Italia si strutturano in questi ultimi 40 anni, oggi sono diffusi sul tutto il territorio nazionale. A Palermo da moltissimi anni l'associazione le Onde ONLUS, gestisce due case rifugio, la Casa delle Moire e la Casa di Maia, un centro Antiviolenza gestito da professionisti e da operatrici di accoglienza, che lavorano in equipe mantenendo un alto livello di professionalità.

In questi ultimi anni i dati sconvolgenti, aiutano meglio a comprendere come il fenomeno sia una vera e propria emergenza sociale, che come tale, necessita di essere contrastata con uno sforzo comune e unanime di <<tutti i soggetti istituzionali, sociali, famiglia e scuola in primis>> afferma Agnese Ranghelli, sottolineando la necessità morale degli adulti di assumere la responsabilità e il dovere educativo della preparazione alle generazioni del futuro.

Il silenzio è senza dubbio la prima peggior forma di accettazione da sradicare nella lotta alla violenza: le donne speso tendono a rinchiudersi in un limbo omertoso misto a vergogna che impedisce loro di denunciare le violenze subite agli organi competenti, dirigendo in modo inconsapevole e graduale, la loro vita verso un turbine di maltrattamenti che spesso trova l’incipit in un semplice strattone, che il giorno seguente diventa uno schiaffo o peggio ancora un pugno o un calcio.

Le campagne di sensibilizzazione fatta da ‘’donne’’ per le ‘’donne’’, hanno sicuramente sensibilizzato al riconoscimento preventivo degli atteggiamenti aggressivi e violenti dei propri compagni,avviandole a voce accorata verso la denuncia degli organi competenti. La nascita di molte Associazioni ha permesso di sostenere, accogliere e proteggere molte donne vittime di violenza.

Fortunatamente, oggi dei passi avanti sono stati fatti sull’argomento della violenza di genere, al punto tale da essersi meritato l’istituzione della giornata mondiale che si svolge il 25 novembre di ogni anno con manifestazioni in ogni parte del mondo.

ph Dorotea Zanca


Alla luce dei recenti fatti di cronaca, si è notato come sia importante ‘’lavorare’’ sulla mentalità della donna, la quale possa riconoscere in tempo e in autonomia gli atteggiamenti violenti e tutelarsi così, prima che possa essere troppo tardi, da tutte le numerose sfaccettature in cui gli atti violenti si declinano nella vita quotidiana: violenza verbale (battute sessiste, complimenti spinti), violenza della libertà personale ( compagni o mariti che allontanano gradualmente dagli affetti,dall’ambiente di lavoro) violenza fisica (percosse,abusi sessuali), msse diabolicamente in atto per soggiogare e rendere gradualmente la donna in una condizione di sudditanza psicologica tanto da indurla all’assoluto controllo e all’emarginazione.

Sebbene tanti passi avanti siano stati fatti in campo giuridico (con l’istituzione del reato di stalking) e sociale (istituzione del neologismo di femminicidio, istituzione della giornata mondiale della violenza sulle donne, campagne di sensibilizzazione nelle scuole e nei media) tanto deve essere fatto ancora sul piano morale e umano, poiché anziché veder diminuire il numero degli abusi ha visto aumentare le donne vittime di violenza.

Nascondere un pugno o uno schiaffo dietro ad una carezza, confondere il possesso e il controllo dietro qualcosa di più grande, è orrore, non amore, poiché esso ha inseto al suo interno il concetto stesso di libertà per esistere: l’amore nobilita, non soffoca, non uccide, ma è la possibilità di avere il libero arbitrio di fare le proprie scelte, di scegliere come vestirsi ma soprattutto colui da amare.

A tutte le donne uccise da questi ‘’amori malati’’, da queste assurde sudditanze psicologiche, che hanno dei nomi, o nei casi più sfortunati avevano, un lavoro, una famiglia ed è opportuno dare loro voce, soprattutto a chi quella voce non ce l’ha più perché messa a tacere per sempre; le vittime devono uscire dall’ombra in cui la violenza le ha rilegate, non si può più voltare la testa dall’altra parte e ignorare questa marea di vittime, questa mattanza silenziosa che ogni anno crea un numero di vittime sempre più numeroso.

In attesa che gli organi competenti dello stato disciplinino con pene più severe e certe come principale deterrente ai maltrattamenti, la violenza di genere, tutti noi potremmo, anzi dobbiamo, indistintamente uomini e donne, impegnarci ad educare le nuove generazioni al rispetto della diversità per sradicare finalmente il taboo della buona creanza e avere il coraggio della libera predisposizione all’emancipazione, in una società ancora oggi maschilista e fondata sulla dicotomia uomo-donna, ormai antiquata e priva di senso in una società, che come la nostra, vuole imporsi come ‘’moderna’’ e ‘’civile’’.

Un grazie particolare all'Associazione "LE ONDE ONLUS" e a mia sorella Francesca Serio per il supporto scientifico e morale.
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ANTONELLA SERIO -  Insegnante di Scienze Umane nelle scuole secondarie di secondo grado, Educatrice/Pedagogista della Casa di Maia (Le ONDE ONLUS Palermo) Presidente  dell'Associazione di Volontariato Arciragazzi Palermo in tutele dei diritti dei minori.

sabato 11 novembre 2017

Massimo e Gino: o si è felici o si è complici

Prosegue il ciclo di videointerviste "Storie di persone, storie di diritti, storie che hanno fatto la storia", in cui alcune personalità, che nella città di Palermo, si sono distinte per aver sostenuto e portato avanti i diritti dei più deboli, si raccontano davanti alle telecamere del Consultorio dei diritti MIF.

Una chiaccherata informale e accogliente dove poter conoscere in maniera più approfondita la persona intervistata, conoscendo aspetti del proprio percorso di vita che, nei contesti pubblici di tutti giorni difficilmente vengono fuori.

Oggi i volontari del Consultorio dei diritti MIF sono andati a trovare MASSIMO MILANI e GINO CAMPANELLA, storica coppia gay, fondatori, assieme ad altri attivisti, dell'Arcigay a Palermo.

Massimo e Gino ci hanno ospitati presso la loro bottega sartoriale artigianale, attiva a Palermo, nel quartiere BALLARO' da tantissimi anni. Quella di Massimo e Gino è prima di tutto una grande storia d'amore, lunga 40 anni, iniziata in un'Italia molto bigotta e poco aperta al confronto con il mondo LGBT.

Massimo e Gino si conoscono a Roma e, parallelamente alla loro splendida storia d'amore, ci raccontano le tante battaglie condotte per tutelare i diritti della comunità LGBT, con il MOVIMENTO FUORI prima e con ARCIGAY dopo, il loro trasferimento a Palermo, la loro attività imprenditoriale e la recente candidatura di Massimo al Consiglio Comunale di Palermo con la lista SINISTRA COMUNE.

Un'intervista, a cura di Lory Strano,  lunga e toccante, dove si parla di politica, di religione e di vita quotidiana, BUONA VISIONE.

venerdì 10 novembre 2017

Online il primo numero di INFORM@FFIDO

Parte un progetto editoriale dell'Istituto Affido Minori proposto dai volontari del Servizio Civile Nazionale del Comune di Palermo. Si tratta del giornalino "Inform@ffido", puoi scaricare il pdf cliccando qui

Per maggiori informazioni su come diventare affidatari: U.O. Affidamento familiare, P.zza Noviziato 20/A. Contatti: 091/581018 - 091/6093203 - affidamentofamiliare@comune.palermo.it

Referente SCN: U.O Innovazione e cittadinanza attiva, via Fratelli Orlando 16, Contatti: 091/7405452

LAVORARE IN UNA SOCIETÀ MULTICULTURALE

foto di Dorotea Zanca
“Nel DNA del palermitano c’è quanto basta di arabo per farne un amante focoso e di spagnolo per farne un poeta fantasioso; furbo come un greco, capzioso come un bizantino, ladro come un normanno, ma sempre seducente come un siciliano” scrive  lo scrittore siciliano G. Basile.

Passeggio per le vie del centro storico della mia bella Palermo e un po’ per deformazione professionale e un po’ per curiosità mi fermo ad osservare le farmacie e provo ad immaginare come sarebbe lavorarci e la tipologia di clienti, o meglio pazienti, con cui dovrei confrontarmi e le problematiche che mi troverei a risolvere. Mi guardo attorno e oltre me, e i miei due amici a fianco, di un italiano nemmeno l’ombra. E’ un formicaio di turisti e cittadini originari di ogni parte del mondo. Ci addentriamo nei vicoli attratti dalla musica etnica e dai colori delle vesti dei nostri concittadini, dai molteplici suoni di lingue sconosciute, parlate in arabo, in spagnolo, da ritmi orientali che rimandano a souk e bazar.  

Un innumerevole insieme di comunità che insediatisi, hanno formato sottoborghi che costituiscono il tessuto sociale della città. Palermo è tornata ad essere la “capitale” multietnica e multiculturale di un tempo.

Qui, la signora chic e la sua lotta contro i segni del tempo, il signorotto facoltoso stressato dal troppo lavoro, il ragazzo con il borsone da cui esce la racchetta da tennis e il suo imminente bisogno di un ricostituente, o l’arzilla ottantenne di tutto punto vestita che allevia la solitudine con una bella chiacchierata al banco( non curante della fila che si accumula alle sue spalle!), lasciano spazio ad altre problematiche.

foto di Dorotea Zanca

La farmacia, in quanto presidio sanitario fondamentale delle cure primarie, e i suoi professionisti assumono un ruolo da protagonisti tra le figure sanitarie deputate alla prevenzione delle malattie, alla restituzione della salute, e alla cura delle patologie croniche. Occuparsi di sanità in una società multiculturale, pertanto, implica necessariamente un approccio trans-culturale che tenga conto dei diversi concetti di salute, prevenzione, malattia e morte presenti nelle varie culture. Senza questo presupposto qualunque approccio agli utenti immigrati è destinato a fallire.

Consideriamo che nella maggior parte dei paesi di provenienza dei migranti presenti nel nostro paese infatti, l’accesso ai servizi sanitari avviene solo in situazioni di bisogno acuto, nell’emergenza; i migranti sono per lo più culturalmente lontano dal concetto di prevenzione che implica il sottoporsi ad esami anche in condizioni di perfetto benessere o di assumere terapie croniche pur essendo asintomatici. Quando si rivolgono al medico o al farmacista  di solito hanno un bisogno immediato. Un po’ come facevano i nostri nonni e bisnonni!

L’approccio sanitario, dovendo necessariamente tener conto delle differenti concezioni della vita, del corpo, della salute, della malattia o della sessualità, deve tener sempre presenti molteplici elementi socio- culturali e antropologici, non potendosi più dare per scontata una comunanza nei criteri di giudizio tra l’operatore e il paziente.


La comunicazione diventa essenziale. Già, ma come comunicare? E cosa si aspetta un cittadino straniero da un professionista?

Innanzitutto immedesimiamoci. Ricordando di quando andiamo in vacanza in un paese straniero in cui non conosciamo la lingua e la prima preoccupazione è ottenere ciò di cui abbiamo bisogno senza essere fraintesi o imbrogliati. Rivolgiamoci con sorriso e sguardo accogliente, magari con un saluto in lingua. Cerchiamo di abbattere le barriere comunicative e linguistico-culturali. E’ necessario stabilire un rapporto di fiducia con atteggiamento d’apertura e acquisire nozioni di ordine psicologico, antropologico, etnologico, che consentono di inquadrare adeguatamente la persona che abbiamo di fronte, eliminando la visione del migrante untore, vettore di pestilenze. Liberiamoci dal concetto di “normalità civilizzata” (cit. G. Tomasi di Lampedusa) facendo intendere che gli “altri”, in quanto stranieri sono anormali e incivili.

La conoscenza delle varie culture, usi e costumi è fondamentale ed è ciò che  permette a tutti di essere efficienti ed efficaci nello svolgimento della propria professione. Sicuramente trasformare queste parole o propositi in fatti non sarà semplice ed immediato. A molti potrebbe apparire solo un volo pindarico!

Io, nel mio piccolo, ascoltando le interviste di alcuni mediatori culturali (Marocco, Cina, Senegal, Pakistan, Russia)  ho già qualche spunto per risolvere i problemi digestivi e intestinali dei musulmani in periodo di ramadan, per  fare educazione al corretto utilizzo dei farmaci ed informazione sulla posologia, per parlare, senza offendere, un cinese.

La comunicazione e la narrazione hanno una funzione terapeutica.

L’ approccio “narrativo” alla malattia (il racconto della vita e delle esperienze, l’attenzione alla storia e ai contesti sociali di provenienza) è un sistema per entrare in relazione e liberare i bisogni individuali legati alla condizione di migrante.

 “Il rispetto per la diversità fra le culture, la tolleranza, il dialogo e la cooperazione, in un clima di fiducia e la comprensione reciproca, costituiscono le migliori garanzie per la pace e la sicurezza internazionale

(UNESCO: dichiarazione su “identità, diversità e pluralismo”)
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VALENTINA PROVENZANO - E’ una farmacista iscritta all’ordine di Palermo. Laureata nel 2012 presso l’ Università degli studi di Palermo presentando una tesi sperimentale su nuovi derivati antitumorali. 
Attualmente collabora con un team di oncologi in clinica privata.
Ha lavorato in farmacia e parafarmacia distinguendosi per professionalità, competenza, gentilezza e disponibilità, riuscendo a creare un ottimo rapporto di fiducia, rispetto e fidelizzazione con i pazienti.
Amante della natura e degli animali, predilige lo sport all’aria aperta. E’ affascinata dalla luna e s’incanta davanti un tramonto che non riesce a non fotografare.
Sensibile, razionale, meticolosa, con buona capacità di ascolto e con uno spiccato senso di giustizia e del dovere , ha iniziato la sua avventura con il MIF di recente, attratta dalle iniziative e dallo scopo del consultorio, pronta a schierarsi con i più deboli in nome dell’ informazione semplice e accessibile a tutti.

giovedì 9 novembre 2017

Il Matrimonio - fonti normative

Al Consultorio dei diritti MIF si parla di MATRIMONIO. In un'ottica multidisciplinare verrà affrontato l'argomento in diversi capitoli per offrire un inquadramento generale e dare maggiore chiarezza agli aspetti trattati e rendere più comprensibile le differenze che sussistono tra gli stessi.
Il primo capitolo sarà dedicato all’inquadramento normativo dell’istituto del matrimonio .
Il secondo avrà per oggetto le differenze tra il giudizio civile della separazione legale dei coniugi e del divorzio. Infine, l’ultimo capitolo sarà dedicato alle unioni civili recentemente riconosciute dal nostro LEGISLATORE .


IL MATRIMONIO -FONTI NORMATIVE

Ebbene, iniziamo la trattazione del matrimonio partendo dall'esame dell’ultima lettera che compone l’acronimo del nostro Consultorio “ M.I.F.” ossia la lettera F che sta per famiglia la quale si fonda sull'unione tra uomo e donna che si prestano reciproca assistenza morale, economica e spirituale (ossia l’affectio maritalis ).

Infatti, Il termine matrimonio nel linguaggio comune indica l'unione tra un uomo e una donna sancita davanti un ministro di culto (prete o pastore ) o un ufficiale di stato civile avente natura civile o religiosa. Adesso tale termine viene riferito anche ai matrimoni tra uomini omosessuali, ma di questo parleremo più avanti.

Secondo la definizione del diritto civile dobbiamo distinguere il matrimonio in matrimonio – atto e matrimonio - rapporto: con la prima, si intende il matrimonio-atto, ovvero il negozio giuridico con il quale un uomo e una donna dichiarano con le dovute formalità di volersi prendere reciprocamente per marito e moglie, formando così una famiglia (per es., quando si dice: il matrimonio tra Tizio e Caia è stato celebrato il tale giorno); con la seconda, si intende il matrimonio-rapporto, comprensivo di tutti gli effetti di natura sia personale che patrimoniale, che scaturisce dalla celebrazione del negozio matrimoniale (per es., quando si dice: il matrimonio tra Tizio e Caia dura da più di trent’anni).

Le fonti normative che regolano il predetto istituto sono:

- gli artt 29 e 31 della Costituzione . il primo dispone che “la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio e che quest’ultimo è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi” mentre il secondo statuisce che “la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose.”

- il titolo VI del libro I artt. 79-230 bis del codice civile, ampiamente novellato e modificato per armonizzarlo con la Costituzione (in particolare, con la l. n. 151/1975, che ha riformato il diritto di famiglia), regola il matrimonio in maniera dettagliata.

La convenzione matrimoniale è il contratto con il quale i coniugi stabiliscono un regime patrimoniale coniugale diverso dalla comunione legale, e cioè il regime di separazione dei beni o di comunione convenzionale.

È pacifico che le unioni coniugali nascono dalla libera volontà delle parti di voler convolare a nozze e quindi il matrimonio è a forma così detta libera.

Tuttavia, dobbiamo fare riferimento anche al “matrimonio forzato“ ovvero un matrimonio in cui una o entrambe le persone coinvolte, bambini o adulti, vengono fatte sposare senza tenere conto della loro volontà o, addirittura, contravvenendola apertamente. Tale pratica è presente soprattutto in quei paesi in cui non è sviluppata una cultura di rispetto per i diritti dell'individuo.

Alcune culture tradizionali praticano ancora il matrimonio per rapimento, una forma di matrimonio forzato in cui una donna che è rapita e stuprata da un uomo è poi considerata sua moglie. Oggi il matrimonio per rapimento è pratica corrente in paesi rurali e tradizionalisti, come il Kirghizistan. Alla fine del periodo sovietico pare il numero di rapimenti a scopo matrimonio sia salito in maniera esponenziale toccando anche le città.

Il dibattito ha preso avvio nel 2011, dopo che alcune donne sposate a forza si sono suicidate.

Nella nostra tradizione siciliana la "fuitina" ("piccola fuga") è un esempio di matrimonio per rapimento dove però si presume generalmente che rapitore e rapita siano complici per sfuggire all'opposizione della famiglia di lei all'unione in matrimonio. Essa consiste nella fuga dei futuri sposi per avere rapporti sessuali come tra marito e moglie: essendo in questo modo la donna "compromessa", la sua famiglia "dovrà" accettare il matrimonio come "riparatore".

Il matrimonio può essere celebrato secondo tre possibili riti.

Il rito canonico-civile, comunemente detto concordatario o religioso, (disciplinato dal concordato lateranense tra la Santa Sede e l’Italia dell’11 febbraio 1929, modificato dall'accordo del 18 febbraio 1984, ratificato con l. n. 121/1985), ha luogo secondo le norme del diritto canonico e davanti a ministro del medesimo culto; al matrimonio così celebrato sono riconosciuti anche gli effetti civili a condizione che l’atto relativo sia trascritto nei registri dello stato civile, previe pubblicazioni nella casa comunale. Subito dopo la celebrazione, il parroco o il suo delegato spiegherà ai contraenti gli effetti civili del matrimonio, dando lettura degli articoli del codice civile riguardanti i diritti e i doveri dei coniugi, e redigerà quindi, in doppio originale, l’atto di matrimonio, nel quale potranno essere inserite le dichiarazioni dei coniugi consentite secondo la legge civile. La trascrizione non potrà avere luogo qualora gli sposi non rispondano ai requisiti della legge civile circa l’età richiesta per la celebrazione o sussista un impedimento che la legge civile considera inderogabile, ma sarà ammessa quando, secondo la legge civile, l’azione di nullità o di annullamento non potrebbe essere più proposta. Il matrimonio produce gli effetti civili dal momento della celebrazione, anche se l’ufficiale dello stato civile, per qualsiasi ragione, abbia effettuato la trascrizione oltre il termine prescritto. Nel caso dei culti acattolici ammessi nello Stato, il rito del matrimonio è celebrato davanti a ministri autorizzati ed è regolato dalle disposizioni relative al matrimonio di rito civile, salvo quanto stabilito nella legge speciale concernente tale matrimonio (art. 83 c.c.). Il ministro celebrante compila l’atto di matrimonio e lo trasmette all’ufficiale dello stato civile per la trascrizione.

Il rito civile, infine, è celebrato davanti all’ufficiale dello stato civile, che, alla presenza di due testimoni, legge ai nubendi ( futuri sposi ) gli art. 143, 144 e 147 c.c., riceve da ciascuna delle parti personalmente, l’una dopo l’altra, la dichiarazione che esse si vogliono prendere rispettivamente per marito e moglie e di seguito dichiara che esse sono unite in matrimonio (art. 107 c.c.). L’atto di matrimonio deve essere compilato immediatamente dopo la celebrazione. La prova della celebrazione del matrimonio può essere data esclusivamente sulla base dell’atto di matrimonio, salvo il caso di distruzione o smarrimento dei registri dello stato civile; in questo caso la celebrazione del matrimonio può essere provata con ogni mezzo.

La distinzione delle forme di celebrazione del matrimonio sopra indicate assumono rilievo in sede giuridica ed in particolare nelle procedure c.d. di divorzio ( che verrà approfondito nel successivo capitolo) poichè nel caso del rito religioso o concordatario si parlerà di cessazione degli effetti civili del matrimonio invece nel caso di matrimonio civile avremo un giudizio di scioglimento del matrimonio.

Altro aspetto da considerare del rapporto coniugale è il Regime patrimoniale familiare.

Nello svolgimento della mia attività lavorativa molto spesso capita che i clienti pongono domande attinenti alla comunione legale e in particolare se i bene acquistati prima o dopo il matrimonio fanno parte della medesima-

Cerchiamo di fare ordine : il nostro ordinamento prevede un complesso di norme che regolano le spettanze ed i poteri dei coniugi in merito all’acquisto ed alla gestione dei loro beni. Tale normativa prevede i seguenti regimi patrimoniali che possono essere adottati:

Comunione legale dei beni (art. 159 c.c.) – Rappresenta il regime legale ordinario dei rapporti patrimoniali tra i coniugi, il quale – in mancanza di un loro diverso ed esplicito accordo – si stabilisce in via automatica all’atto della celebrazione del matrimonio.


Fanno parte della comunione: tutti i beni acquistati congiuntamente o separatamente dai coniugi durante il matrimonio (ed a costoro appartengono in parti uguali); i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione; i proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della comunione, non siano stati consumati; le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio; gli utili e gli incrementi di aziende appartenenti ad uno dei coniugi anteriormente al matrimonio, ma gestite da entrambi.

Restano, invece, esclusi dalla comunione: i beni di cui ciascun coniuge era titolare già prima del matrimonio; i beni acquisiti da taluno dei coniugi per successione o donazione (tranne che siano stati in tali atti espressamente attribuiti alla comunione); i beni di uso strettamente personale; i beni che servono all’esercizio di una professione; i beni ottenuti a titolo di risarcimento danni; la pensione per la perdita totale o parziale della capacità lavorativa; i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento di beni personali o con il loro scambio, purché ciò sia espressamente dichiarato all’atto dell’acquisto.

La comunione si scioglie nei seguenti casi: per morte di uno dei coniugi; per dichiarazione di assenza o morte presunta di uno dei coniugi; per divorzio; per separazione personale; per annullamento del matrimonio; per fallimento di uno dei coniugi; per separazione giudiziale dei beni; per accordo convenzionale tra i coniugi circa il mutamento del regime di comunione.

Comunione convenzionale (artt. 210-211 c.c.) – Si costituisce mediante un espresso accordo (o convenzione) tra i coniugi, tramite il quale essi stabiliscono un regime patrimoniale teso a disciplinare in modo diverso l’ordinario regime di comunione legale. In particolare, con tale convenzione possono rientrare in comunione: i beni acquisiti primi del matrimonio; i beni ricevuti per donazione o successione; i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento di beni personali. Tale regime necessita di essere sancito mediante atto pubblico.

Separazione legale dei beni (art. 215 c.c.) – Si costituisce anch’essa tramite espresso accordo tra i coniugi, tramite il quale ciascuno conserva la titolarità esclusiva dei beni acquistati durante il matrimonio. Nulla vieta che essi possano, tuttavia, acquistare taluni beni in comunione. Tale regime di separazione può essere dichiarato al momento della celebrazione del matrimonio e annotato a margine dell’atto di matrimonio stesso, oppure stipulato successivamente mediante atto pubblico, parimenti da annotare a margine dell’atto di matrimonio.

Fondo patrimoniale (artt. 167-177 c.c.) – È formato da un complesso di beni immobili, beni mobili registrati o anche titoli di credito finalizzato a soddisfare esclusivamente i bisogni della famiglia. Tale vincolo di destinazione comporta una specifica disciplina in materia di amministrazione ed alienazione dei beni di cui il fondo è composto. Si costituisce con atto pubblico su accordo di entrambi i coniugi o per volontà di uno solo di essi, ovvero per volontà di un terzo, anche per testamento. La destinazione del fondo termina a seguito della dichiarazione giudiziale di annullamento o nullità del matrimonio o del divorzio coniugale.


e) Modificazioni dello stato coniugale

Sebbene il matrimonio civile sia finalizzato a costituire un consorzio di vita coniugale essenzialmente stabile e duraturo, tuttavia i suoi effetti possono subire successive modificazioni in sede giudiziaria (ad esclusione di quelli riguardanti i figli minori o comunque non autosufficienti), qualora intervenga domanda di separazione personale e/o di divorzio ad esclusiva iniziativa di entrambi i coniugi o di taluno di essi, ovvero domanda di nullità o annullamento per motivi di invalidità assoluta o relativa, ad iniziativa di chi sia legittimato all’azione nei casi contemplati dalla legge e nel rispetto dei termini rispettivamente stabiliti.

Per l’esame di questi singoli istituti si rinvia ai rispettivi capitoli come anticipato in premessa (cfr. Separazione – Divorzio –) .

Concludo la trattazione di questo capitolo con questa citazione

Allora Almitra di nuovo parlò e disse: Che cos’è il Matrimonio, maestro?
E lui rispose dicendo:
Voi siete nati insieme e insieme starete per sempre.
Sarete insieme quando le bianche ali della morte disperderanno i vostri giorni.
E insieme nella silenziosa memoria di dio.
Ma vi sia spazio nella vostra unione,
E tra voi danzino i venti dei cieli.
Amatevi l’un l’altro, ma non fatene una prigione d’amore:
Piuttosto vi sia un moto di mare tra le sponde delle vostre anime.
Riempitevi l’un l’altro le coppe, ma non bevete da un’unica coppa.
Datevi sostentamento reciproco, ma non mangiate dello stesso pane.
Cantate e danzate insieme e state allegri, ma ognuno di voi sia solo,
Come sole sono le corde del liuto, benché vibrino di musica uguale.
Donatevi il cuore, ma l’uno non sia di rifugio all’altro,
Poiché solo la mano della vita può contenere i vostri cuori.
E siate uniti, ma non troppo vicini;
Le colonne del tempio si ergono distanti,
E la quercia e il cipresso non crescono l’una all’ombra dell’altro
(KAHLIL GIBRAN)
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DANIELA SPINNATO - Avvocato penalista e civilista del Foro di Palermo, ha studiato presso l'Università degli studi di Palermo ed ha conseguito un corso di specializzazione in Diritto Penale e Processuale di Impresa presslo l'Università LUMSA di Palermo.
Ha per anni prestato la sua attività professionale presso lo Sportello Giuridico della Caritas Diocesiana occupandosi del Settore Penale ed in particolare del diritto all'immigrazione. Attualmente ha anche assunto incarichi professionali rappresentando Enti Pubblici in processi di una certa entità. Una donna determinata che "si è fatta da sola" facendosi largo nell'ambito professionale senza scendere a compromessi, che ama viaggiare per saziare il desiderio di conoscere posti nuovi. Ascolta tanta musica, pratica sport e le piace dedicarsi alla lettura. Una persona che crede fermamente in determinati valori quali:" ONESTA', FIDUCIA, FAMIGLIA".

lunedì 6 novembre 2017

La sindrome fibromialgica: aspetti normativi

La sindrome fibromialgica è una patologia insidiosa in quanto difficile da riconoscere. Infatti, la fibromialgia si caratterizzata da un dolore muscolo-scheletrico, i sintomi con cui si manifesta, presentano analogie con altre patologie (emicranie, mal di schiena, ecc. ), che vengono valutate dal medico curante come manifestazioni di singole patologie e non come unica.

La sindrome fibriomialgica impedisce alle persone che ne sono affette di svolgere una vita normale con notevoli e gravi ripercussioni anche nella quotidianità, comportando una certa riduzione della capacità lavorativa.

Occorre premettere che, in Italia i soggetti che sono affetti da minorazioni congenite o acquisite, anche a carattere progressivo che abbiano subito una riduzione permanente della capacità lavorativa non inferiori a 1/3 e, se minore degli anni 18 che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età (art. 2, L. n.118/71).

In Italia, il riconoscimento dello status di soggetto invalido non è automatico, ma l'interessato deve inviare per via telematica una apposita richiesta all'INPS, che provvederà ad indicare una data per la convocazione a visita dell'istante dinanzi ad un delle commissioni mediche nominate e presenti sul territorio.


Successivamente, il richiedente lo status di invalido civile si dovrà presentare dinanzi alla Commissione Medica presso l'ASL di riferimento, alla presenza di un medico dell'INPS e, all'esito della visita, la commissione redigerà un verbale, che potrà essere positivo (in caso di accoglimento della domanda) o negativo (in casi di rigetto).

Il predetto verbale verrà comunicato al soggetto interessato che potrà, nel termine perentorio di 180 giorni presentare ricorso dinnanzi all'Autorità Giudiziaria competente, richiedendo un accertamento tecnico preventivo (A.T.P.) ex art. 445 bis c.p.c.

I malati di fibromialgia, nel nostro Paese non ricevono la giusta tutela in ambito previdenziale, con evidenti limitazioni sull'accesso alle cure o ad eventuali benefici di tipo economico, sebbene a sindrome fibromialgica sia stata riconosciuta dalla Organizzazione Mondiale della Sanità già nel 1992.

In molti paesi della Unione Europea la fibromialgia, a differenza dell'Italia, è stata già riconosciuta quale patologia invalidante, permettendo ai soggetti che ne sono affetti di accedere a cure sanitarie e ad eventuali benefici di tipo economico.

Decisivo è l'iniziativa del Parlamento Europeo, che nel 2008 (dichiarazione 69/2008) ha riconosciuto la fibromialgia come malattia estremamente invalidante.

Di certo, si assiste a una ingiustificata ed illegittima differenza di trattamento tra cittadini europei in quanto in Italia i malati di fibromialgia non godono degli stessi diritti, delle cure ed assistenze degli altri cittadini europei.

Un possibile riconoscimento della fibromialgia quale malattia invalidante potrebbe determinare tra i malati l'accesso al beneficio pensionistico determinato con l'accertamento dell'invalidità.


Riconoscere in modo ufficiale la condizione di invalido civile alla persona affetta da sisdrome fibriamolgica significherebbe godere dei benefici economici (pensioni, indennità ) e/o fiscali (permessi ex L. n. 104/92, assistenza sanitaria, agevolazioni fiscali, inserimento nelle liste delle categorie protette per il collocamento obbligatorio).

Purtroppo, in Italia, poiché la fibromialgia non è riconosciuta nell'elenco delle malattie invalidanti, nessun riconoscimento dei predetti benefici potrà essere riconosciuto al richiedete in sede di commissione medica.

Paradossalmente, la Commissione medica interpellata a decidere dello status di invalido civile potrebbe in presenza della Sindrome fibromalgica, attribuire al richiedente una determinata percentuale di invalidità valutando sole le singole manifestazioni della patologia (emicranie ed .ecc) e non valutandole come una patologia unica, appunto una sindrome.

Di recente, il Tribunale di Termini Imerese, Sez. Lav. E Prev., seguito di un ricorso ex art. 445 bis c.p.c. ha riconosciuto la fibromialgia quale malattia invalidante, giusto decreto di omologa del 25.05.2017 n.1116/2016).

Nel caso di specie un donna, affetta da fibromialgia, a causa dei dolori sofferti non poteva svolgere la propria attività di artigiano e, pertanto, l'Autorità Giudiziaria ha riconosciuto una riduzione della capacità lavorativa.

Il riconoscimento ottenuto dinnanzi al Tribunale di Termini Imerese risulta alquanto importante e potrebbe fungere da precedente in ulteriori azioni giudiziarie di riconoscimento della malattia ai fini dell'invalidità.

Purtroppo, tutte le iniziative legislative in merito al riconoscimento della fibromialgia quale malattia invalidante sono rimaste priva di riscontro, basti pensare che nel nostro Paese la commissione Sanità del Senato ha portato l'esame del ddl n.1323/14 avente ad oggetto il riconoscimento della fibromialgia quale malattia invalidante, ma senza alcun riscontro positivo!.

Per il Consiglio Superiore della Sanità la fibromialgia è una patologia cronica, invalidante in alcuni casi e non necessariamente permanente e, pertanto, non può essere inserita nell'elenco delle malattie croniche di cui al D.L 329/99.

L'Italia, mancando di provvedere ad una tutela nei confronti delle persone che soffrono di fibromialgia, palesemente agisce in contrasto dell'artt. 3 e 32 della Costituzione, nonchè dell'indirizzo comunitario.

Bisogna incoraggiare anche le singole realtà regionali a richiedere al governo di agire in un fronte comune seguendo l'indirizzo comunitario per un facile accesso dei soggetti affetti da tal patologia ai necessari benefici economici e sanitari.



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GIOVANNA ZIZZO -  Avvocato penalista e civilista iscritto al foro di Palermo, dopo il conseguimento della laurea ha conseguito il diploma presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali G. Scaduto.  Ha prestato la propria attività in favore di privati, di Enti Pubblici e come consulente di imprese, non trascurando le problematiche sociali e, soprattutto, i minori. Ha sempre lavorato con schiettezza e rispetto per il prossimo, ritiene che la professione legale debba essere esercitata avvicinando i cittadini alla legalità e alla giustizia. Pronta a collaborare con altre figure professionali per una crescita personale. Ama la lettura e viaggiare, convinta che cultura e conoscenza, oltre alla consapevolezza che il mondo muta nei suoi equilibri, siano la chiave del dialogo.

Una Siciliana in Colombia: un viaggio alla scoperta di un popolo che sta rinascendo. Quinta puntata

Quinta puntata (per le puntate precedenti clicca qui) del reportage della nostra volontaria LORY STRANO che sta raccontando la sua esperienza di siciliana in Colombia, un paese che sta vivendo un periodo di forti cambiamenti sociali ed economici a seguito dell'accordo firmato Il 24 novembre 2016 fra il governo colombiano e i guerriglieri delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc), una formazione di stampo marxista attiva da più di cinquant’anni che ha messo fine, grazie anche alla determinazione del presidente Colombiano Juan Manuel Santos, ad un lunghissimo conflitto armato che ha provocato quasi 220 mila morti, migliaia di desaparecidos e  sfollati per un totale di otto milioni di vittime. 

Il mio corpo assorbiva stanchezza e frustrazioni. Stroncata dal caldo, dalla mancanza di acqua, bevevo la pioggia, mi adeguavo a tutto e non smettevo di andare. Prezzi da contrattare, autobus di fortuna, taxi illegali da condividere con i locali. Non era mica un viaggio alla ricerca di sè, non c’era niente di egoista, volevo solo addentrarmi nelle storie di questa gente dalle mille sorprese e - come loro dicevano spesso – portarle al mondo affinchè conosca chi sono i montemariani.

Ad un certo punto sentii che la storia degli altri cominciava ad essere un po’ mia e che la mia storia, una siciliana con tutti i sogni ancora in volo, pezzi di un puzzle da riordinare, che si avventura li dove nessuno consiglia, si faceva interessante. Annotai tutto ciò che potevo per restituire la cronaca di quel viaggio.


Strade di LOS MONTES
Ricordo il giorno in cui decisi di avventurarmi tra i villaggi de Los Montes de Maria. Era un pomeriggio ventoso di gennaio, di quel vento caraibico che gonfia il mare ma che non ti raffredda. In quel momento i caraibi si riempiono di turisti ma i pescatori per via delle grandi onde non pescano molto. Bisogna attendere che la brezza si calmi. Io sentivo che questa brezza voleva dirmi qualcosa, dovevo andare con lei e non aver paura. La mia barca salpò.

Partii da Cartagena un sabato mattina caldissimo, le gambe andavano sole guidate dall’emozione. La missione era catturare tutte quelle immagini che riflettevano l’altra faccia di una zona segnata dalla sofferenza e dall’abbandono. Volevo parlare con artisti, scrittori, talenti nascosti, annotare storie di resistenza e buone pratiche.

Il cantante Manuel
Prima tappa San Juan, monto sul bus dopo aver contrattato il prezzo, accanto lo zaino più grande di me che tutti guardano con curiosità, in testa rigirano le domande da porre agli artisti che incontrerò per far si che esca fuori l’altra faccia de Los Montes. Vengo accolta in una casa umile in una strada solitaria che dà sulla grande strada che attraversa la regione affollata di camion. Ascolto la voce di Manuel, giovane cantante, vibra della rabbia di non aver potuto vivere grazie al talento, si emoziona nel continuare a cantare e decantare il dolore e la speranza. “Ci sono uccellini che ancora cantano” ripete nelle sue canzoni dal sapore malinconico che lasciano intuire il potenziale dell’arte come mezzo di memoria, risanamento e condivisione.

La madre, anche lei cantante, mi racconta che per una serie di processi che aveva iniziato nelle zone rurali, insegnando musica ai ragazzi, era stata minacciata e dovette lasciare tutto. Si rifugio a Bogotà con i figli, vivendo di musica in strada. Dopo la fine del conflitto tornarono a San Juan, cercando di tirare avanti anche se qui non hanno più nulla, solo una casa di legno e la loro voce.

Amache di San Jacinto
Con quella musica in testa lasciavo il villaggetto alla volta di San Jacinto. La strada è breve, basta solo prendere uno dei mini van che viaggiano veloci e che si fermano con un cenno della mano. Gli angoli della carreggiata cominciano a riempirsi di artigianato. La zona è famosa infatti per la sua produzione di amache, borse, vari oggetti tutti tessuti a mano. In questo momento sono accompagnata da un amico che mi accoglie in casa dei nonni per la notte. Io preparo loro una pasta con ciò che trovo e loro mi raccontano le loro vite da contadini. La vita scorreva nel campo finchè con l’arrivo di guerrilleros e paramilitari, persero le loro terre e anche il marito della figlia che si oppose al divieto di coltivare e seguire con una vita normale.

I soldi quasi non bastano e l’età che avanza richiede l’assistenza della figlia che trovo ad aiutarli. Al mattino ci svegliamo tutti presto e mentre facciamo colazione con name() e formaggio la piccola nipotina va con i bidoncini vuoti verso la strada dove intanto si è fermato il camion dell’acqua. In quella zona infatti non c’è acquedotto e l’acqua bisogna comprarla ogni giorno. Per la bambina è una routine, normale che un diritto venga trasformato in questo gioco mattutino. È felice di avermi lì e mi chiede aiuto con l’inglese.
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LORENZA STRANO - Appassionata di giornalismo e viaggi, instancabile volontaria per diverse associazioni e organizzazioni locali e internazionali, Lory Strano si è lanciata dopo la triennale in comunicazione nel mondo della cooperazione internazionale. Nel 2016, anno di conseguimento della laurea magistrale in Cooperazione e Sviluppo, è passata dal lavorare per una Ong ambientalista in Spagna a fare la ricercatrice per una università in Sud America. L’ultima tappa è stata la Colombia,  da dove racconta l’esperienza di una siciliana alle prese col mondo dei diritti umani in un paese lacerato dal conflitto e con tutte le carte in regole per fare la storia con il processo di pace.